PROCEDIMENTO CIVILE - INTERRUZIONE - DICHIARAZIONE DEL PROCURATORE - ABUSO DEL PROCESSO - Cass. civ. Sez. III Ord., 20-08-2018, n. 20809

PROCEDIMENTO CIVILE - INTERRUZIONE - DICHIARAZIONE DEL PROCURATORE - ABUSO DEL PROCESSO - Cass. civ. Sez. III Ord., 20-08-2018, n. 20809

La dichiarazione dell'evento interruttivo che ha colpito la parte costituita, di cui all'art. 300, comma 1, c.p.c., costituisce esercizio di un potere discrezionale del procuratore, al quale soltanto compete di valutarne l'opportunità nell'esclusivo interesse della parte rappresentata, così che la scelta di dichiarare o meno tale evento, ovvero del momento in cui dichiararlo, non può integrare di per sé abuso del processo, né può incidere sulla durata del giudizio in danno della controparte, essendo a tal fine indifferente che l'interruzione si verifichi in un momento del processo piuttosto che in un altro.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana - Presidente -

Dott. CIGNA Mario - Consigliere -

Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Consigliere -

Dott. FIECCONI Francesca - Consigliere -

Dott. IANNELLO Emilio - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7949/2017 R.G. proposto da:

T.E.M., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Aurelio Giovannelli e Luca Pescatore, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale di Villa Massimo, n. 57;

- ricorrente -

contro

Establissement Starimmob Anstalt, rappresentata e difesa dall'Avv. Anselmo Carlevaro, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Gian Giacomo Porro, n. 8;

- controricorrente -

e nei confronti di:

T.A.E.;

- intimata -

avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma, n. 1209/2017, pubblicata il 22 febbraio 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno 2018 dal Consigliere Emilio Iannello;

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Mistri Corrado, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, pronunciando in giudizio di convalida di licenza per finita locazione promosso dalla Establissement Starimmob (Anstalt del (OMISSIS)) nei confronti delle conduttrici E.M. e T.A.E., ha dichiarato cessato il contratto alla data del 19/11/2010, condannando per l'effetto le predette al rilascio dell'immobile entro il 31/3/2017, oltre che alle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Per quanto ancora in questa sede interessa, la Corte territoriale ha anzitutto rilevato la tempestività della prosecuzione del processo nel rispetto del termine di tre mesi (art. 305 c.p.c.) decorrenti dalla data in cui l'evento interruttivo (cancellazione della società dal registro delle imprese del (OMISSIS)) è stato dichiarato in udienza.

Ha poi ritenuto infondata l'eccezione di difetto di legittimazione attiva, in capo alla intimante, opposta dalle convenute/appellate sulla base del rilievo (accolto dal giudice di primo grado) secondo cui il proprietario dei diritti del fondatore di Starimmob aveva ceduto i propri diritti di detentore della medesima società alla Fondazione Guardianangel, della quale erano state beneficiarie, dapprima, F.N. fino alla sua morte e, successivamente, altre quattro ulteriori fondazioni, di cui sono, a loro volta, beneficiari i quattro figli della F..

Al riguardo la Corte di merito ha di contro rilevato che la descritta cessione era stata operata non già dalla società di capitali bensì dal socio fondatore e aveva ad oggetto solo i diritti al medesimo spettanti sul capitale sociale e che quindi tale trasferimento non incide sul patrimonio della stessa Anstalt, persona distinta dal rispettivo fondatore, "avuto riguardo alla titolarità della proprietà e della posizione di locatrice dell'immobile in questione".

3. Avverso tale decisione T.E.M. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, cui resiste il curatore della Establissement Starimmob Anstalt, depositando controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso T.E.M. deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 300 c.p.c.artt. 3, 24 e 111 Cost., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, , per avere la Corte d'appello respinto l'eccezione di estinzione del giudizio, da essa opposta a motivo dell'asserita tardività della riassunzione, dopo la sua interruzione.

Sostiene che il termine di tre mesi fissato dall'art. 305 c.p.c. per la prosecuzione o riassunzione del processo andava nel caso di specie fatto decorrere non già, come ritenuto dalla Corte d'appello, dalla data (15/1/2015) della dichiarazione in udienza del sopra descritto evento interruttivo, bensì da quella, di molto anteriore (6/12/2013), nella quale il legale di Starimmob aveva chiesto, in ragione del medesimo evento, l'interruzione del distinto procedimento pendente tra le medesime parti ed avente ad oggetto la divisione del patrimonio immobiliare dei fratelli T..

Assume che controparte, chiedendo l'interruzione del processo oltre un anno dopo la dichiarazione resa nel distinto giudizio pendente tra le stesse parti, ha trasgredito i principi in tema di giusto processo e abuso del processo, precludendo l'efficace ed equo funzionamento del giudizio e determinando "lo spreco di cospicue energie giurisdizionali".

In subordine rimette al prudente apprezzamento di questa Corte "l'opportunità di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 300 c.p.c., commi 1 e 2, e art. 305 c.p.c., per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui tali disposizioni non prevedono, nel caso di plurimi procedimenti pendenti tra le stesse parti, il decorso automatico del termine ex art. 305 c.p.c. dalla prima dichiarazione di interruzione resa in uno dei giudizi medesimi".

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell'art. 112 c.p.c. per avere il giudice d'appello omesso di esaminare l'eccezione di carenza di interesse ad agire in capo a Starimmob e di conseguente inammissibilità dell'appello.

Con il terzo motivo deduce, in subordine, violazione dell'art. 100 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l'ipotesi in cui debba, detta eccezione, ritenersi implicitamente rigettata in sentenza.

Il difetto di interesse ad agire era stato dedotto in ragione dell'assunto secondo cui la stessa controparte aveva dichiarato di non essere titolare effettiva dell'immobile oggetto di causa, essendone invece comproprietari E.M. e T.A.E..

3. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia infine, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per "motivazione omessa, apparente, contraddittoria e incomprensibile", in violazione degli artt. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., n. 4.

Rileva che:

- sin dalla costituzione in giudizio, essa aveva eccepito che l'immobile oggetto di causa era stato trasferito, tramite negozi simulati, dalla dante causa F.N. ai quattro figli ( E.H., J.J., E.M. e T.A.E.), ciascuno per una quota del 25% e che pertanto, essendo le conduttrici E.M. e T.A.E. comproprietarie dell'immobile, trovavano applicazione gli artt. 1102 e 1105 c.c., in materia di comunione;

- rimasta assorbita in primo grado, l'eccezione è stata riproposta con la comparsa di costituzione in appello;

- a dimostrazione della simulazione dei trasferimenti degli immobili ereditari, tra cui la villa per cui è causa, essa aveva prodotto: verbale del consiglio di famiglia del 28/6/2004; verbale "di attribuzione di beni immobili e di quota di patrimonio netto di società ricadenti nella successione della signora F.N."; verbali del consiglio di famiglia del 1/10/2004 e dell'8-9/3/2004; procura rilasciata dalla signora F. ai coeredi per la gestione dell'intero patrimonio immobiliare.

Deduce quindi che la motivazione esposta in sentenza è soltanto apparente poichè omette di considerare le difese svolte circa la natura simulata degli atti di disposizione della dante causa e non spiega la ragione per cui, ad escluderne la fondatezza, varrebbe la circostanza che la società è "persona distinta dal rispettivo fondatore".

Censura altresì come carente la motivazione della sentenza impugnata laddove si afferma che "i motivi 2 e 3 postulano una situazione di comproprietà che non trova riscontro nel contratto azionato, alla stregua del quale il potere di far cessare il rapporto obbligatorio e di agire per il conseguente rilascio non può che spettare alla parte locatrice".

4. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e come tale va dichiarato inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1 (v. Cass. Sez. U 21/03/2017, n. 7155).

L'art. 300 c.p.c. è oltremodo chiaro nel disporre, ai, commi primo e secondo, che "se alcuno degli eventi previsti nell'articolo precedente (morte o perdita della capacità della parte, cui è certamente equiparabile l'estinzione del soggetto societario, n.d.r.) si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti.

"Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione volontaria o la riassunzione a norma dell'articolo precedente".

Si ricava dalla disposizione l'univoco significato, del resto pacificamente acquisito da sempre in dottrina e giurisprudenza, secondo cui gli eventi ivi previsti, se colpiscono la parte costituita in giudizio a mezzo procuratore, non spiegano alcun effetto interruttivo se e fin quando gli stessi non siano dichiarati in udienza o notificati alle altre parti dal procuratore costituito. Ciò in quanto il diritto di difesa della parte colpita dall'evento (precipuamente tutelato dall'istituto della interruzione) non riceve alcun pregiudizio dal proseguimento del processo, poichè non viene meno la rappresentanza in giudizio. Per tal motivo si attribuisce a tale dichiarazione, pacificamente, carattere negoziale (v. Cass. n. 6262 del 2002; n. 2837 del 1987; Sez. U. n. 15295 del 2014; Cass. n. 9900 del 2007) rimarcandosi, anche sotto tale profilo, che essa può provenire solo dal procuratore della parte cui l'evento interruttivo si riferisce e non già dal difensore della controparte, nè può essere dichiarata d'ufficio dal giudice in mancanza della stessa.

In piena coerenza a tale pacifico contesto interpretativo è stato già più volte precisato, con riferimento alla specifica questione in questa sede posta, con indirizzo dal quale non vi è ragione di scostarsi, che il principio per il quale il verificarsi di uno degli eventi previsti dall'art. 300 c.p.c. produce l'interruzione del processo solo se il procuratore della parte, cui si riferisce l'evento interruttivo, lo dichiari in udienza o lo notifichi alle altre parti (operando, in mancanza, il principio della ultrattività della procura ad litem) vale solo nell'ambito dello stesso processo ove detta comunicazione sia avvenuta, attesa l'autonomia di ogni giudizio ed avuto riguardo al carattere negoziale (in relazione al precipuo fine di conseguire l'effetto interruttivo previsto dalla legge) della dichiarazione resa dal procuratore della parte costituita, cui solo è rimesso il potere di valutarne l'opportunità, nell'esclusivo interesse della parte rappresentata e con riferimento a conseguenze e riflessi dell'evento medesimo su quel determinato rapporto processuale; mentre non ha rilevanza la conoscenza che le altre parti abbiano eventualmente aliunde dell'evento medesimo (nella specie, in altro processo), ma senza che l'evento sia portato alla legale conoscenza del giudice e della controparte in quel determinato, diverso processo (Cass. 22/05/1998, n. 5116; 28/05/2012, n. 8494).

Costituendo dunque legittimo esercizio di un potere discrezionale attribuito al procuratore medesimo sulla base di valutazione di opportunità esclusivamente correlata allo svolgimento del proprio mandato difensivo e all'interesse della parte, la scelta di dichiarare o meno, ed eventualmente in quale momento del processo, l'evento interruttivo che ha colpito la parte non può di per sè integrare alcun abuso del processo, nè si vede quale lesione possa derivare, dall'essere tale dichiarazione effettuata in un momento piuttosto che in un altro, ai diritti della controparte.

Tanto meno tale pregiudizio può consistere, come sembra ipotizzare la ricorrente, nella maggior durata del processo determinata dall'interruzione e dalla successiva riassunzione, trattandosi di conseguenza che si sarebbe comunque verificata anche ove la dichiarazione dell'evento fosse stata effettuata coevamente a quella effettuata nel distinto procedimento.

Manifestamente infondato è dunque anche il dubbio di legittimità costituzionale in subordine prospettato in ricorso.

6. E' manifestamente infondato anche il secondo motivo.

Secondo pacifico indirizzo, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancanza di espressa statuizione sul punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (v. in particolare, Cass. n. 5351 del 2007, che ha ravvisato il rigetto implicito dell'eccezione di inammissibilità dell'appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame). E' altresì costantemente affermato che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, e dovendo pertanto escludersi il suddetto vizio quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (v. Cass. n. 10636 del 2007).

Nel caso di specie, l'accoglimento dell'appello comporta di per sè evidentemente il rigetto della preliminare eccezione di inammissibilità dello stesso per difetto di interesse.

7. Peraltro la sentenza prende in esame tutte le eccezioni svolte con la comparsa di costituzione in appello e i motivi di appello incidentale (dei quali si rileva la sostanziale coincidenza con le prime), il cui contenuto è pure succintamente indicato a pagina 2 della sentenza.

Tra di esse, prende in esame anche la questione posta con il motivo in esame, ancorchè nella diversa prospettazione di difetto di legittimazione attiva.

Di essa la Corte invero esclude la fondatezza rilevando che la cessione di quote cui le appellanti (e l'odierna ricorrente, con il motivo in esame) fanno riferimento, riguarda in realtà i diritti spettanti sul capitale della società di diritto straniero e non già direttamente l'immobile, che rimane compreso nel patrimonio della medesima società, soggetto giuridico distinto.

Tale rilievo rimane in sè non toccato dalle censure mosse dalla ricorrente, donde anche l'inammissibilità, per aspecificità, del terzo motivo di ricorso.

Anche l'elemento valorizzato a fondamento del motivo in esame (dichiarazione resa dal legale rappresentante della Starimmob in separato procedimento, secondo cui "nonostante la cancellazione dal registro delle imprese, (essa) non può sciogliersi definitivamente... posto che, formalmente,... è ancora proprietaria della villa e... non ha ancora adempiuto al fine ultimo in relazione al quale... è stata costituita, vale a dire l'assegnazione/o attribuzione della villa... ai beneficiari di Starimmob), lungi dal contrastare tale conclusione, la conferma pienamente.

8. E' infine inammissibile anche il quarto motivo.

Il vizio di omessa motivazione ex art. 132 c.p.c., n. 4 è configurabile quando manchi del tutto una motivazione ovvero questa non consenta in nessuna misura di comprendere quale sia la ragione della decisione adottata, mentre non può configurarsi nel caso in cui la dedotta omissione riguardi solo una o alcune delle questioni poste.

Nel caso di specie non può infatti dubitarsi che una motivazione esista e che non sia meramente apparente, consentendo la stessa di comprendere quale sia la ragione della decisione adottata (qualità di locatrice della società e piena legittimazione della stessa dunque ad agire per la declaratoria della cessazione del contratto).

E', piuttosto, evidente che con le censure mosse si intende contestare la correttezza di tale motivazione, prospettandosi (e sollecitandosi) una diversa valutazione di merito degli elementi acquisiti, anche in ragione dell'asserito omesso esame di eccezione di simulazione, con ciò esse esponendosi a un primo rilievo di inammissibilità per la loro estraneità al tipo di vizio dedotto.

Può poi comunque soggiungersi che:

- la doglianza di omesso esame dell'eccezione di simulazione è aspecifica non essendo trascritto in ricorso il contenuto della comparsa di costituzione in appello nella parte in cui tale eccezione sarebbe stata in tesi riproposta;

- la doglianza medesima è poi fondata sul richiamo al contenuto di documenti che non viene in alcun modo trascritto, in palese violazione del loro imposto dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

9. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l'applicazione del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2018


Avv. Francesco Botta

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